Notizie storiche:

Dal punto di vista delle vicende storiche che le hanno caratterizzate, dalla fondazione alla soppressione ed oltre, la chiesa di S. Maria e l’annesso omonimo monastero verginiano, si sono sviluppate di pari passo.

La chiesa di S. Maria fu fondata tra il 1136 e il 1158 quale dipendenza del monastero di Montevergine, i cui interessi fondiari sono documentati a partire dal marzo 1136 con la donazione di Aimo de Argenzia, mentre la presenza della chiesa è documentata a partire dal novembre 1158. Annessa alla chiesa fu costruita nel 1157 una badia che ospitava la Congregazione detta in seguito di Montevergine, che ebbe diritti giurisdizionali nell’ ambito territoriale di Casamarciano fino a tutto il XV secolo. Esso, in seguito, divenne il monastero più ricco e più bello della Congregazione di Montevergine grazie alle donazioni di molti beni da parte di ricchi signori. In origine la chiesa ed il coevo monastero furono detti di S. Maria del Plesco, derivando il nome dal luogo in cui fu costruita la chiesa primitiva, cioè su un masso sassoso, un macigno, quindi in alto. Infatti, l’etimologia del termine plesco, è da ricercarsi nel latino “caesum” (dal verbo caedo), cioè tagliato dal monte (o dalla roccia) che in volgare si è trasformato in “ci esco”, che significa appunto macigno, gran masso pietroso. Dal 1367 il nome originario cominciò a poco a poco a trasformarsi in quello di S. Maria dell’ Annunziata del Plesco e nel 1541, sotto il priorato di don Tommasino Amerusio, in quello della SS. Annunziata di Casamarciano.

Questo titolo, molto diffuso nella congregazione virginiana, ha fatto pensare addirittura all’esistenza del monastero di Casamarciano anteriormente a quello di Montevergine. Nel 1611 il pontefice Paolo V gli concede il titolo di abbazia. Questo monastero ha rappresentato sempre la dimora preferita degli abbati verginiani. La sua comunità monastica è stata nel corso dei secoli quasi sempre la più numerosa, dopo ovviamente l’abbazia-madre di Montevergine. Dal 1657 fino al 1708 vi fu trasferito il noviziato di Montevergine, poiché il monastero era situato in luogo salubre e solitario, molto adatto all’educazione dei giovani. In seguito vi si fisso un secondo studentato della congregazione; ed infine raccolse anche i giovani aspiranti della congregazione con un fiorente e ricercato educandato. Presentava una bella architettura, pianta quadrangolare su due livelli, un chiostro centrale da cui si dipanavano quattro dormitori, la biblioteca e l’archivio. Al piano superiore erano sistemate le stanze per i novizi e per gli studenti e un’ampia terrazza che sovrastava il bel paesaggio nolano. Nel corso dei secoli dovette subire assieme alla chiesa, ammodernamenti, rimaneggiamenti e abbellimenti come lasciano supporre anche alcune epigrafi oggi perdute: nel ‘500 la chiesa fu rifatta su disegno di Domenico Fontana, nel 1647 fu ampliata unitamente al monastero e nei primi decenni del ‘700 subì ulteriori rifacimenti sotto le direttive dell’illustre pittore, scultore e architetto Domenico Antonio Vaccaro, famoso esponente della Scuola Napoletana. Egli abbellì la chiesa con una salita lastricata in pietra calcarea, uno scalone barocco a due rampe, un ampio atrio di travertino, pronao a tre fornici, marmi, tele, sculture e stucchi all’interno; qui a tutt’oggi è possibile notare la navata unica con otto finestroni e sei cappelle laterali lunga29,50 metri e larga 9,50 per un’altezza di 15,20 metri.

L’altare maggiore balaustrato, l’abside e le cappelle erano ricoperte di marmi policromi e adornate da bei dipinti. Quello principale dell ‘altare maggiore, di 5,29 x 3,70 metri, rappresentava la SS. Annunziata in gloria; era riccamente incorniciato in marmo e sovrastato da una fine scultura con tre teste di angeli circondate da gigli, alla base delle quali figurava lo stemma abbaziale: un serto di alloro e due leoni rampanti.

Negli emicicli dell’abside v’erano quattro quadri con cornici di stucco, dipinti nel 1782 da un discepolo di Solimena, Paolo De Maio, raffiguranti i quattro evangelisti, e nel coro, un bellissimo scanno ligneo con ventuno stalli intagliati. Dall’abside si passava in sacrestia attraverso due eleganti porte laterali in legno scolpito; qui sul soffitto v’erano: un gran quadro di S. Guglielmo in gloria di Giuseppe Vitale, alle pareti l’ovale di S. Giuseppe e l’Abramo del De Maio che oggi fregia il refettorio di Loreto (di Montevergine). La zona del presbiterio era abbellita da un grosso quadro di 2 x l metri, rappresentante la Sacra Famiglia. Entrando dal portale, a destra v’erano: il quadro di S. Lucia e S. Agnello, la tela di S. Gallo e il dipinto di S. Guglielmo e San Benedetto. AI lato sinistro si potevano ammirare in successione: Gesù deposto dalla croce, la Beata Vergine del Carmelo e la Vergine Odigitria (del buon cammino). Il soffitto della navata presentava tre grosse tele celebrative del santo fondatore: quella centrale di circa IO x 7,40 metri rappentava S. Guglielmo in gloria, mentre gli altri due dipinti erano allegorie dei miracoli operati in vita dal santo.

Nella chiesa vi era anche un originale organo trasportato nella cattedrale di Nola dopo la soppressione del monastero il 13 febbraio 1807 per decreto napoleonico. In seguito al suddetto decreto il monastero divenne una Scuola di Arti e Mestieri. La badia, i suoi territori e la selva (acquisiti nel tempo con donazioni) furono venduti al marchese Marzio Mastrilli, ad un prezzo·molto basso rispetto al valore effettivo per compensare i serv~g,i resi a Bonaparte. La chiesa invece passò al parroco don Ottavio De Stefano, che nel 1812 vi costituì la Congregazione della SS. Annunziata. Successivamente il cosiddetto “castello”, cioè quello che da monastero era stato trasformato in gentilizio palazzo merlato, fu venduto nel 1925 alla famiglia Mercogliano a tutt’oggi legittima proprietaria. Il resto è storia nota di saccheggi, atti di vandalismo gratuito, stravolgimenti architettonici inconsulti succedutisi nell’ indifferenza e nell’ incuria generale.

Caratteri tipologici ed architettonici del complesso:

Il complesso badiale, costituito dalla Chiesa, dal Monastero di S. Maria del Plesco e dal giardino o “boschetto”, ubicato ai piedi dell’amena collina di S. Clemente sovrasta, nella sua imponenza, la piana no lana. L’impianto, adagiato sulla superficie naturale del terreno, a quota 100 metri s.l.m., è improntato su una tipologia tipicamente medievale. Concepito in un luogo salubre é solitario, presenta un carattere di forte compattezza, tesa ad assicurare un senso di protezione e di serenità, propri della vita claustrale che vi si svolgeva un tempo. La facciata occidentale, in tutta la sua estensione segue l’andamento orizzontaleggiante della collina. Ciò contribuisce, insieme alla scelta cromatica, ad inserirlo ottimamente nell’ ambiente che lo circonda.

Dall’erta salita di via S. Maria, che conduce all’ingresso del complesso, si può osservare l’intera facciata laterale del monastero, costituita da una scarpa basamentale di colore grigio e da tre ordini di aperture rettangolari, perfettamente allineate a scandire in modo regolare la parete, sormontata da una copertura a tetto ad una falda, leggermente aggettante. Solo alcune di esse non rispettano la geometria e l’assialità, probabilmente perché modificate in epoca successiva. Si può inoltre osservare la modularità dovuta ad una griglia ortogonale di fasce bianche in bassorilievo a maglia rettangolare, che creano un delicato gioco di luci, unitamente a quello generato dal ritmo delle bucature. rI visitatore percepisce un senso di distacco dall’edificio dovuto alla svasatura del basamento. La salita è fiancheggiata sul lato del complesso, fino all’ingresso della chiesa, da una fila di platani, anch’essi disposti secondo un ritmo preciso, che richiama quello delle finestrature, fungenti da filtro naturale per la visione dello stesso e sull’altro lato da un muro, che segna una barriera con il paesaggio naturale, situato al di là di esso. Dalla sommità della salita, volgendo lo sguardo verso la piana sottostante si individua la continuità visiva che il complesso instaura con le chiese di S. Clemente e dell’Immacolata Concezione di Nola.

La visione della facciata d’ingresso non consente affatto la percezione della monumentalità del complesso. Costituita da due ordini di finestre, risulta suddivisa in tante figure geometriche elementari, da strisce bianche incassate leggermente rispetto alla parete. Il portale d’ingresso, in pietra bianca, finemente realizzato, lascia già intravedere il porticato retro stante ed il pozzo. Il passaggio nel cortile risulta segnato da una volta a crociera, seguita da un arco, che presenta alla base due semicolonne con funzione puramente decorativa, in quanto lo stesso è sostenuto dal setto murario sottostante. Si passa poi attraverso un deambulacro coperto da una volta a schifo, nelle cui pareti laterali si possono intravedere due oculi circolari, per l’areazione e l’illuminazione dei locali attigui. Il quadri portico di forma irregolare, con i suoi 23 archi a tutto sesto, poggianti su pilastri in muratura, da cui si dipartono 27 volte a crociera, rappresenta una parte rilevante del complesso. La presenza delle lesene, sul lato interno del portico, accentua la spazialità dello stesso, delineando una sorta di continuum tra quella che è la parte in contatto con l’ambiente esterno (pilastri) e la parete interna. Gli elementi sono dipinti con pittura a calce. Il pozzo, in pietra calcarea bianca e con la base ottagonale a due gradoni, situato in posizione assiale rispetto ali ‘arco centrale del lato opposto dell’ingresso, evita la fuga incontrollata dello spazio del cortile. In questo ambiente si rispecchia la profonda assialità tra gli archi e le finestre sovrastanti, che scandiscono intervalli costanti. Sulla parete d’ingresso è collocata una meridiana, antichissimo tipo di orologio, a funzionamento solare. Nell’angolo a sinistra si può osservare un passaggio realizzato in epoca successiva alla costruzione originaria. Il delicato colore della facciata richiama la luminosità conferita dalla luce naturale e il colore rosso dei pilastri segna un netto distacco tra la base del manufatto e la parte sovrastante, che risulta avere una copertura a falde. Dal cortile, lastricato in pietra calcarea bianca, si scorgono, oltre il lato opposto all’ingresso, gli archetti pensili e i merli della torre, che preannunciano il passaggio nella parte retrostante. La sensazione che si prova superando l’androne e oltrepassando il portone, che conduce al giardino, è quella di un’esplosione di luce. Questo bellissimo “frammento di natura” è inquadrato dalle due torri che affiancano l’ingresso e dal cornicione aggettante, che insieme conferiscono al monastero un’aria maestosa, e che Creano un gioco di luci ed ombre di notevole effetto. La presenza dei merli accentua fortemente la verticalità della facciata, e sembra quasi che l’intera struttura tenti di aggrapparsi al cielo. Lo scalone a due rampe, balaustrato, e l’ingresso, permettono rispettivamente di accedere alle stanze al piano superiore e al cortile. Il contrasto cromatico tra le balaustre e la facciata è motivo fortemente caratterizzante quest’ultima. Percorrendo il loggiato, sviluppantesi su due livelli, si scorgono le quattro finestre ogivali, che caratterizzano la parete laterale destra della chiesa.

II giardino o “boschetto”, in pendenza da sud a nord e da est a ovest, presenta un’ampia superficie, caratterizzata da percorsi irregolari, tipici delle sistemazioni all’ inglese. Percorrendo il viale principale si incontra sulla destra una stradina, che conduce ai locali sottostanti la loggia, usati come deposito. Verso est, inoltre, il giardino è delimitato da una parete rocciosa a strapiombo di un’altezza pari a circa 15 metri. Attraverso una porta, che richiama nella sua fattezza la forma delle due torri si giunge allo spazio antistante la Chiesa di S. Maria del Plesco.

La salita artificiale che conduce alla chiesa è interamente lastricata con pietre calcaree disposte in senso trasversale, che individuano un’asse centrale disposto longitudinalmente, a delineare l’assialità del percorso che culmina nella scala barocca del Vaccaro.